Anziani: 10 milioni in case di proprietà ma insicure

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© Amedeo Lomonaco, Radio Vaticana ●

In Italia, Paese secondo solo al Giappone per invecchiamento della popolazione, sono quasi 10 milioni gli anziani che vivono in case di proprietà. E’ quanto emerge dal secondo “Rapporto sulle condizioni abitative degli anziani in Italia”, presentato stamani a Roma da “Auser”, “Abitare e Anziani” e “Spi Cgil”. Nel dossier si ricorda, tra le priorità, l’urgenza di adeguare le abitazioni per rendere fruibili gli spazi ed eliminare le barriere architettoniche. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

 

In Italia, dove gli over 65 rappresentano il 20,8% della popolazione residente, gli anziani dispongono di un rilevante patrimonio immobiliare. Ma in gran parte sono abitazioni vecchie, con più di 50 anni quasi nel 55% dei casi. Anche se in buone condizioni, sono spesso case prive di ascensore, con impianti vecchi, fuori norma in materia di sicurezza e con molte barriere architettoniche. Sale inoltre al 41% la quota di case con la presenza di anziani sul totale delle case di proprietà. Aumenta anche la quantità di abitazioni di grandi dimensioni popolate da anziani soli. Nel Rapporto, si suggeriscono due linee di azione da assicurare attraverso risorse non solo private. La prima è finalizzata all’adeguamento del patrimonio immobiliare elevando sicurezza e comfort. La seconda priorità riguarda l’insieme di relazioni e servizi che si devono rafforzare per garantire all’anziano tutti i necessari supporti di vicinato.

Poche risposte dalla politica

Nel Rapporto, si denunciano in particolare ritardi e mancate risposte da parte della politica e delle istituzioni. E’ quanto sottolinea, al microfono di Amedeo Lomonaco, il presidente dell’Associazione “Abitare e Anziani”, Marco Di Luccio:

 

R. – La politica è assolutamente latitante. C’è un silenzio assordante della politica su tali questioni, ma anche delle istituzioni. Di che cosa abbiamo bisogno? Di razionalizzare, per esempio, le risorse esistenti: mettere a disposizione per ristrutturazioni e riorganizzazioni esperienze per esempio di coabitazione, di “co-housing” fra anziani o fra soggetti diversi. E in giro per il Paese esperienze di questo genere ci sono. E questo crea un’attività di comunità, di solidarietà dentro il luogo di abitazione, ma anche nel quartiere, nella comunità, che fa crescere il grado di qualità della vita complessiva, non solo dell’anziano o degli anziani interessati.

Necessarie risorse che aiutino lo sviluppo

Evidentemente, infatti, scattano dei meccanismi di rapporto che superano la solitudine. Chiediamo risorse, ma sono risorse che poi non sono un elemento fine a se stesso: hanno a che fare con lo sviluppo e con la crescita. Evidentemente, una qualità di sviluppo e di crescita forse un po’ diversa da chi immagina che l’elemento sia semplicemente quanto si è realizzato di pil.

Un italiano su quattro ha più di 65 anni

D. – Quali sono i “trend” attuali e futuri della popolazione anziana in Italia?

R. – Oggi, noi abbiamo una situazione dove un italiano su quattro ha più di 65 anni. Nel giro di un ventennio, un italiano su tre avrà più di 65 anni. Attualmente, noi abbiamo una popolazione ultra ottantenne intorno al 6%, che in questo ventennio raddoppierà. Significa, quindi, che c’è un problema della condizione dell’anziano, che non è marginale nella società. Non è residuale nella società, ma diventa un elemento importante, centrale.

Gran parte degli anziani vive in case di proprietà

Oggi, la stragrande maggioranza di questa popolazione anziana vive in case di proprietà o con altri famigliari o con il proprio coniuge o il proprio partner. Vivono, però, in case spesso molto vecchie e non sempre dotate di tutte quelle strumentazioni tecnologiche in grado di rispondere ai bisogni di un anziano. Spesso e volentieri, sono degli anziani che hanno degli appartamenti anche troppo grandi per loro. Come si fa a gestire per una persona di quella età una casa di questo genere?

Anziani spesso soli

D. – Poi, ci sono altri elementi importanti, quando si parla di anziani: la solitudine e la necessità, spesso, di un sostegno…

R. – Spesso e volentieri, questo lo si risolve con la badante o mettendo l’anziano dentro una residenza sanitaria. Noi riteniamo che se si costruisce un’integrazione fra il modo di abitare la casa e l’integrazione di servizio, utilizzando anche quelle forme di sostegno del volontariato e del terzo settore – che esistono in questo Paese – si possono costruire condizioni per cui l’anziano vive meglio, non ha aspetti drammatici di solitudine, forse si ammala anche meno. E pesa meno sul servizio sanitario nazionale. Questi interventi, quindi, che non sono enormi in termini di risorse, ci portano a un’idea dello sviluppo, della crescita, diversa e che ha al centro le persone e non soltanto altri elementi, che sono semplicemente dei numeri.

La casa è una risorsa

D. – La casa abitata da un anziano, se vista come un’opportunità di coabitazione, può anche rivelarsi una risorsa per l’intera società…

R. – Se quel tipo di abitazione fosse, per esempio, usata insieme ad altri, magari in un rapporto anche intergenerazionale: se tu ad esempio studente devi venire a studiare a Roma ed io anziano ti ospito a casa mia, c’è uno scambio fra il tuo abitare e i servizi, le pulizie e quant’altro. Si crea un elemento di coesione di questo genere che probabilmente aiuta l’anziano, aiuta lo studente, aiuta l’insieme della collettività. Per fare questo, però, c’è bisogno che ci sia un coordinamento dei vari soggetti della politica, delle istituzioni, del mondo del volontariato, del terzo settore. Se manca questo, diventa difficile realizzarlo da parte di uno dei singoli soggetti.

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