Agorà dei giovani del Mediterraneo a Loreto

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© Amedeo Lomonaco, Radio Vaticana ●

 E’ in corso a Loreto, fino a martedì prossimo, l’ottava Agorà del Mediterraneo che riunisce giovani di tre continenti per una settimana di preghiera, dibattiti, visite e testimonianze sul tema: “Beati quelli che sono perseguitati per aver fatto la volontà di Dio: perché Dio darà loro il suo regno”. Sono presenti giovani in rappresentanza delle comunità cattoliche del Nord Africa, del Medio Oriente e dell’Europa che rifletteranno in questi giorni, soprattutto, sulle persecuzioni ancora in atto nei confronti delle minoranze cristiane.

Intervista con padre Claudio Monge

All’Agorà interverrà domani anche padre Claudio Monge, della comunità domenicana di Istanbul e docente di teologia delle religioni all’Università di Friburgo, che al microfono di Amedeo Lomonaco sottolinea l’autentico valore del martirio:

R. – Credo che oggi abbiamo un’immagine spesso profondamente distorta del martirio, forse anche a causa di quell’immagine estremamente violenta, che giustamente ci indigna, dei cosiddetti “martiri kamikaze”. Questi sono espressione di un mondo che non ha niente a che vedere – e lo dico anche come studioso dell’islam – con il cuore stesso del messaggio islamico. Forse dobbiamo fare proprio un lavoro di comprensione del senso della parola “martirio”, a partire dal suo stesso significato, cioè testimonianza.

Identità del martire cristiano

D. – Su quali pilastri si fonda l’identità del martire cristiano?

R. – In quella che è stata l’evoluzione della considerazione stessa del termine c’è stato un cambiamento di registro che si potrebbe riassumere in una frase: all’origine della storia cristiana, nei primi due secoli, si viene uccisi perché martiri e poi invece, nel corso della storia, si è martiri perché si viene uccisi. Il fatto di essere ucciso diventa assolutamente determinante quando invece, in realtà, in origine il martire è il testimone. Ciò che quindi caratterizza la base essenziale del martire è colui che è assolutamente radicato nella vita di Cristo tanto da lasciarne trasparire dei tratti essenziali nella Sua stessa vita. Uno de tratti essenziali e decisivi della missione del Figlio di Dio su questa terra è quella capacità d’amore estremo che arriva fino al dono totale di se stesso sulla Croce.

Il martire non è profeta in patria

D. – Chi è perseguitato, chi subisce il martirio in realtà non è abbandonato. I martiri come sono riusciti a vincere sofferenze così disumane…

R. – Il martire, il perseguitato per la fede può sicuramente avere, spesso e volentieri nella sua esistenza, l’impressione di essere abbandonato dai suoi stessi fratelli, di essere una persona già “pre-martirizzata” dal fatto di essere messa al di fuori della storia nella quale cammina. Credo che solo identificandosi ulteriormente con la storia stessa del martire per eccellenza, che è il Figlio di Dio, si può arrivare a mantenere questa fedeltà alla comunione e alla testimonianza. Il Figlio di Dio è Colui che per eccellenza non è profeta nella sua patria e che finirà la sua vicenda terrena crocifisso su una croce al di fuori delle mura della città santa. Questo è il destino che poi si rinnova in qualche modo nel martirio dei grandi testimoni della fede nella storia.

La fede cristiana scandalizza

D. – Ancora oggi, come ha detto il Papa, la fede cristiana “scandalizza”, c’è chi cerca di adattarla ai tempi e chi abbandona Cristo. Quali insegnamenti possiamo trarre, oggi, dai martiri e da chi, apparentemente, è andato controcorrente?

R. – Il martire è innanzitutto un testimone della fedeltà e della pazienza di Dio. Credo che il martirio, oggi, consista prima di tutto nel dover andare regolarmente controcorrente rispetto a quella che è la cultura dominante. San Paolo ce lo ricorda: è questa spina nella carne, quest’estrema e radicale esigenza della fede che ci costringe a fare i conti con la nostra coscienza, con il nostro riferimento alla Parola del Vangelo, a costo di dover remare controcorrente.

Andare controcorrente

D. – Andare controcorrente vuol dire testimoniare il Vangelo là dove la società è secolarizzata, dove il cristianesimo è una minoranza…

R. – Oserei dire anche testimoniare il Vangelo là dove le società, le persone che si definiscono cristiane, in realtà contravvengono a delle regole essenziali del cristianesimo.

 

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